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L'incipit | #41 "Malamore" di Concita De Gregorio e “Ti odio” di Graham McNamee

"Malamore" di Concita De Gregorio | Relazioni violente, che durano nel tempo, a cui, volendo, si potrebbe spesso anche sfuggire. Una volontà che però non trova mai la forza di diventare davvero decisione.

Le donne provano la temperatura del ferro da stiro toccandolo. Brucia ma non si bruciano. 
Respirano forte quando l'ostetrica dice "non urli, non è mica la prima". Imparano a cantare piangendo, a sciare con le ossa rotte. Portano i figli in braccio per giorni in certe traversate del deserto, dei mari sui barconi, della città a piedi su e giù per gli autobus. 
Le donne hanno più confidenza col dolore. È un compagno di vita, è un nemico tanto familiare da esser quasi amico. Ci si vive, è normale. Strillare disperde le energie, lamentarsi non serve. Trasformarlo, invece: ecco cosa serve. Trasformare il dolore in forza. È una lezione antica, una sapienza muta e segreta: ciascuna lo sa. 
Maria Malibran, leggendario mezzosoprano, che impara a nascondere le lacrime durante le terribili lezioni di canto inflitte dal padre. Denise Karbon che scia ingessata, Vanessa Ferrari che volteggia con una frattura al piede. La prostituta bambina che chiude gli occhi e pensa al prato della sua casa nei campi. La giovane donna che si lascia insultare e picchiare dal suo uomo perché pensa che quella sua violenza sia una debolezza: pensa di capirne le ragioni, di poterle governare, alla fine. Le migliaia, milioni di donne che vivono ogni giorno sul crinale di un baratro e che, anziché sottrarsi quando possono, ci passeggiano in equilibrio: un numero da circo straordinario, questo di cercare di addomesticare la violenza - la violenza degli uomini - qualche volta andando a cercarla, persino. Perché è un antidoto, perché è un prezzo, perché il tempo che viviamo chiede uno sforzo d'ingegno per conciliare la propria autonomia con l'altrui brutale insofferenza. Le storie che ho raccolto sono scie luminose, stelle cadenti che illuminano a volte molto da lontano una grande domanda: cosa ci induce a non respingere, anzi a convivere con la violenza? Perché sopporta chi sopporta, e come fa? Quanto è alta la posta in palio? 
Alcune soccombono, molte muoiono, moltissime dividono l'esistenza con una privata indicibile quotidiana penitenza. Alcune ce la fanno, qualche altra trova nell'accettazione del male le risorse per dire, per fare quel che altrimenti non avrebbe potuto. Sono, alla fine, gesti ordinari. Chiunque può capirlo misurandolo su di sé. Sono esercizi di resistenza al dolore.




“Ti odio” di Graham McNamee | Troppo facile è fare del male a una bimba. Troppo comodo sparire poi dalla sua vita fingendo che non sia successo nulla.


Ti odio
Rinchiusa in una cella
In compagnia dei miei amici immaginari
In una prigione
Dove la notte non ha mai fine
Ogni giorno fanno scivolare
Due scodelle attraverso le sbarre
Una di cenere
L’altra di lacrime
E mi uccide il pensiero
Di non averti mai
Potuto dire
Quanto
Ti odio

Urlando chiedo al custode
Alle guardie per quale motivo
Mi sono stati portati via i miei anni
Poiché ad ogni stagione perduta
Mischio lacrime e cenere
E le spingo giù a forza
La mia gola si fa di pietra
E strangola ogni suono

E non ho mai avuto l’occasione
Di dirti quanto
Ti odio

E so che non puoi sentirmi
Ovunque tu sia
Ma comunque griderò
Il mio viso contro le sbarre

Ti odio
Ti odio


★★★★★

Chi ben comincia Ogni lunedì, le prime righe di un libro + la sua copertina = bigliettino da visita dell'opera.

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