L'incipit | #35 La mitica 500 blu
CAPITOLO PRIMO
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Sì, dopo quella faticaccia era la canzone più adatta per incidere nella memoria quell’istante.
Mi fermai per qualche istante a riprendere fiato, abbandonai la vista a quel superbo paesaggio di cui conoscevo ogni piccolo dettaglio e, mi lasciai accarezzare da quel silenzio, quella quiete tutt’attorno che mi avviluppava con gioia materna, tramandandomi quell’amore familiare per la mia terra. Un improvviso richiamo stridulo sopra la mia testa, che interpretai come un rimprovero, ruppe quel silenzio surreale. Sollevai al cielo lo sguardo e lo posai inevitabilmente sul volo regale di una poiana: volteggiava fiera con le sue ali larghe pressoché immobili, si lasciava cullare da quell’alito di vento e, librandosi in una danza sinuosa compiva un susseguirsi di mirabolanti giravolte, sovrana incontrastata in quel lembo di cielo azzurro. Distolsi lo sguardo da quella meravigliosa e selvaggia creatura, mi voltai, lanciai una rapida occhiata alla Pietra di Bismantova che, nella sua maestosità e in tutta la sua magnificenza sembrava osservarmi severa: anche lei era indignata per la mia bravata, o era solo la voce della mia coscienza? Alla mia destra la catena degli Appennini dalle cime punteggiate di bianco, incorniciava quello straordinario palcoscenico.
“Era il 21 marzo e cominciava primavera…” interpretava con enfasi e divertito Nino alle mie spalle, come se stesse recitando il copione di una commedia, mentre in sole due falcate le sue lunghe ed esili gambe mi raggiungevano e, con fare interrogativo, prese a fissarmi con quel suo sorrisino adolescenziale che si allungava da un orecchio all’altro.
“Questa è una di quelle giornate che lasciano il segno vè, è una di quelle storie da tramandare ai nipoti di generazione in generazione, che avventura fratellino!” intervenni ironizzando e scrollando la testa, mentre una folata di vento pungente impregnava le mie narici di un olezzo sgradevole che proveniva dal caseificio poco distante. Chissà perché in quel momento, mi passò per la mente quel pezzo tratto dalla Divina Commedia, letto in classe giusto ieri, precisamente uno stralcio del IV canto del Purgatorio. Anche Dante Alighieri aveva calpestato queste terre e respirato questa aria talvolta nauseabonda, magari si era trangugiato anche un buon bicchiere di lambrusco e divorato una fetta di polenta di castagne o un pezzo di formaggio grana ascendendo alla montagna; forse un lembo della sua anima era rimasto aggrappato alle sue pareti scoscese e riecheggiava in un tumulto di emozioni dentro di me, probabilmente per farsi degnamente ricordare dai vivi!
“…Vassi in Sanleo e discendesi in Noli montasi su Bismantova e’ n Cacume con esso i piè; ma qui convien ch’om voli;…”
In quel momento avrei desiderato tanto poter volare come la poiana, librarmi in volo ed arrivare fino a casa senza troppa fatica, invece ripresi lentamente il mio cammino, calpestando la morbida erba appassita dei campi, ancora inzuppa di neve da poco disciolta, mentre i timidi raggi del sole marzolino mi illuminavano il viso, donandomi un’inaspettata e fugace abbronzatura.
“Tagliamo da questa parte ragazzi”.
Era la voce spossata di nostra madre che, seppur consapevole di andare incontro ad una faticaccia, ci aveva praticamente obbligati a seguirla attraverso le campagne, lungo la salita.
Ma cos’era accaduto di così insolito quel giorno tanto da far scomodare la voce della mia coscienza che normalmente viveva ben celata nei meandri più oscuri e sconosciuti della mia anima? Cosa ci facevamo io, mio fratello e mia madre nel bel mezzo della campagna quel pomeriggio dell’equinozio di primavera? Per capirlo occorre girare la clessidra del tempo indietro di qualche mese…
★★★★★
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