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La ricompensa è il viaggio | #10 Il diario di Ettore

Ma questa è la mia carta d’identità!


PARTE PRIMA
di Ettore Boles

PAPUA NUOVA GUINEA | Excursus storico
Da alcuni mesi a questa parte sono riportati disordini in Indonesia, a Timor Est e in altre aree del Paese. Oltre alla guerra civile, che si protrae da anni, la crisi umanitaria richiede l’intervento delle potenze mondiali. Sinceramente non so quanti, in Europa, ne siano a conoscenza.

L’Australia concede l’Indipendenza alla Papua Nuova Guinea nel 1975, in un certo senso troppo presto, dal momento che questo nuovo Stato non può ancora dichiararsi veramente autonomo: elevato tasso di analfabetismo, reddito pro-capite molto basso e altri indicatori di crescita negativi, lo pongono fra le ultime posizioni nella graduatoria di sviluppo dei Paesi del mondo. Tuttavia questo Stato, come altri Paesi in via di sviluppo, ha miniere, seconde in ordine di grandezza al mondo, di oro e rame, più altre risorse naturali di notevole importanza, quali argento, nichel, zinco, gas, petrolio, legname, ecc.


Negli anni ‘60 America e Australia si schierarono a sostegno di una dittatura in Indonesia, al fine di creare uno “stato cuscinetto” in grado di contrastare la crescita dell’influenza comunista nell’area del Sud Est Asiatico e del Pacifico. Così, sul classico esempio di quanto avvenuto in Africa cent’anni prima da parte Europea, il presidente degli Stati Uniti, J.F.Kennedy, con il consenso dell’ONU, cedette la parte occidentale dell’isola di Nuova Guinea all’Indonesia. Fu questo definito l’errore di Kennedy. Fino al 1969, la parte occidentale era stata una colonia dell’Olanda, la quale si stava preparando a riconoscere l’indipendenza, come aveva fatto l’Australia per l’altra parte del territorio. Gli olandesi, stando a quanto la storia riporta, avevano obiettato che verso West Papua avevano la stessa responsabilità degli Americani verso la Germania e Berlino. A questo, il presidente Kennedy pare abbia risposto: “A Berlino ci sono quattro milioni di abitanti mentre i vostri papuani sono solo settecentomila e vivono all’età della pietra!”.

La suddivisione delle due aree, Indonesia e Papua, è una linea retta verticale, fra giungla e montagne, che traccia un confine artificiale senza considerare le popolazioni autoctone e le loro diversità culturali. Il dittatore Suharto, pensando di gestire al meglio la sua nuova Provincia, incoraggiando flussi migratori “forzati” di Giavanesi, Cinesi, Filippini, combinò culture diverse in una terra che fino a quel momento apparteneva ai papuani. L’Indonesia, per essere sicura di mantenere il controllo dell’area appena acquisita, si preoccupò di contrastare duramente, con la forza, i veri nativi, i papuani, i quali, ribellandosi, diedero vita a un Movimento Indipendentista chiamato OPM. In sostanza, si trattò di una guerra civile, che vide le popolazioni autoctone massacrate e deportate. È risaputo che consulenti militari americani e australiani e agenti segreti israeliani del Mossad, abbiano operato nell’area Papua Nuova Guinea-Indonesia per ostacolare i movimenti indipendentisti e per addestrare le truppe governative.


Nel febbraio del 1997, dopo pochi mesi dal nostro arrivo a Vanimo, l’ultima guarnigione di militari australiani e del Civil Department, ammainava la bandiera lasciando il Paese per sempre. Eppure, dopo quasi quarant’anni, nell’ex Papua il movimento OPM continuava ancora la propria battaglia.
Nelle ultime decadi lo scenario del mondo era cambiato, la “guerra fredda” che si era consumata in Africa, in Asia, in America Latina e nel Pacifico era ormai finita con il crollo del muro di Berlino e con la nuova Russia di Michail Gorbaciov. Ma in Indonesia,dove le compagnie americane, come altre occidentali, mantenevano un controllo sull’economia, c’era ormai un governo che s’imponeva con la forza su qualsiasi forma di autodeterminazione del popolo.
Mentre noi eravamo all’opera con il progetto, in capitale, a Port Moresby, c'erano problemi di ordine pubblico. Una delle più grosse compagnie minerarie al mondo, la Rio Tinto, doveva soprassedere e cedere un’importante miniera. Il Governo Papuano, su richiesta del Governo Australiano, reclutò una società di mercenari anglo-sudafricani per sbarcare sull’isola e risolvere la questione. In tutto il Paese, come pure a oltre mille chilometri di distanza, dove ci trovavamo noi, venne fissato il coprifuoco: entro le ore ventuno tutti dovevano rincasare e solo le persone autorizzate potevano muoversi in libertà.
A Port Moresby, contrariamente a tutte le aspettative, l’esercito papuano, con un ammutinamento generale, scese in piazza, appoggiando i civili. I militari dell’Esercito, come altri dipendenti pubblici, non percepivano lo stipendio da mesi e non accettavano che il Governo avesse i fondi per pagare dei mercenari, reclutati per combattere contro la propria gente. L’operazione, battezzata “Sand Line International”, dal nome dell’omonima compagnia paramilitare di reclutamento dei mercenari, fallì sul nascere e così mercenari ed elicotteri da combattimento dovettero lasciare il Paese.
Al Governo papuano non rimaneva che tentare l’ultima carta, quella di isolare economicamente l’Isola di Bounganville, istituendo un blocco navale e aereo, per interrompere i rifornimenti. I nativi non si diedero per vinti e iniziano a produrre carburante “naturale” biologico, processando le noci di cocco. Riuscirono così a ottenere un olio che poteva far funzionare un motore anche se a una velocità ridottissima. Ma quante noci di cocco servivano per ottenere un litro di carburante? I nativi s’illusero di aver segnato una vittoria contro le grosse Multinazionali del Petrolio...
Questi tentativi di resistenza portarono, tuttavia, alla stipulazione di un trattato di pace e a una negoziazione fra Governo e l’area moderata dei ribelli. Una vittoria storica, che portò alle dimissioni del Primo Ministro Sir Julius Chan per lo scandalo politico.


Nel bel mezzo di questo scenario, succede che, un sabato pomeriggio, mentre me ne sto seduto in veranda a godere del sole, riposandomi dalla settimana lavorativa, scorgo due persone che stanno risalendo il sentiero verso la collina, proprio in direzione della mia casetta. Corporatura massiccia uno, alto quasi due metri, indossa una camicia a maniche corte e pantaloni color militare; gli occhiali sul volto squadrato gli danno un’aria da intellettuale. L’altro, invece, di struttura fisica più esile, più basso di statura e dal volto più affusolato, veste calzoncini corti e una maglietta sbrindellata. Porta a tracolla un tascapane. Dal loro aspetto, si potrebbero già intuire molte cose: entrambi scuri di pelle, non hanno tuttavia le linee somatiche e neppure i capelli ricci e crespi dei locali, il cosiddetto stile “fuzzy wuzzy”, come viene chiamato dagli australiani. Mi chiedo chi siano questi due; non ho visite di ospiti in programma e la cosa m’incuriosisce un po’. Decido di andare loro incontro per presentarmi e per vedere se serve qualcosa. Ci presentiamo, ci stringiamo le mani, e poi parto con la scaletta delle domande di rito: “Chi siete? Da dove venite? Chi state cercando?”




Ettore Boles
Nato il 30 novembre del ‘61, settimino, assieme ad altri due gemelli, Gabriele e Luigi. Credo di aver sempre desiderato, fin dai primi passi della mia Vita, esplorare il mondo che mi stava attorno. Successe che un giorno, assieme ai miei fratelli, a carponi m’infilai per la strada antistante il nostro giardino, passando da un buco fatto nella rete del box in cui ci trovavamo a giocare. Da allora ne ho fatti di passi… o meglio di strada, e così un bel giorno sono arrivato fino agli antipodi del mondo, nella lontana Papua Nuova Guinea. Come Forrest Gump, mi sono messo a correre… e non so ancora quando mi fermerò per far ritorno. Ogni tanto, sostando, trovo il tempo di scrivere qualche riga affinché nulla vada perso nell’oblio del tempo.

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