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Professione scrittore: il sessismo nella lingua italiana, l'infermiera si, l'ingegnera no?


di Stefania Bergo

Ricordo che molti anni fa, un'amica mi apostrofò sull'uso del termine studentessa, a detta sua non appropriato, in quanto le parole che definiscono le professioni sono tutte declinate al maschile per convenzione. Chissà se aveva ragione...
Oggi non è così (forse non lo era nemmeno allora?), i termini che identificano le professioni, soprattutto quelle di un certo rilievo, sono declinati anche al femminile e vanno usati correttamente, quasi fosse una forma di emancipazione a suon di parole, un modo per valorizzare le differenze e superare certe discriminazioni che anacronisticamente tutt'ora esistono.

È di quest'idea Piano F, un'associazione culturale che si propone di superare il sessismo linguistico, senza eliminare le differenze, anzi, al contrario, evidenziandole. Il progetto è semplice ed immediato: "Vocabolaria", una sorta di dizionario scaricabile gratuitamente. Al grido di "sovvertiamo gli stereotipi, non la grammatica",  il principio su cui si basa "Vocabolaria" è molto semplice: l’italiano è una lingua che prevede il genere grammaticale maschile e femminile. Quindi, perché non utilizzarla correttamente? Perchè spesso non è una mera questione di grammatica. Utilizzare la desinenza maschile per certe professioni di rilievo, nasconde spesso una sorta di discriminazione...
Ecco allora alcuni punti di cui tener conto, soprattutto se la nostra professione (o aspirazione) è quella dello scrittore o del giornalista... o della scrittrice e della giornalista!

Il maschile non è neutro
Spesso si usa il maschile per intendere entrambi i sessi, come quando ci si riferisce genericamente all'Uomo come presenza della nostra specie sulla terra, ad esempio. Ecco, in questo caso, è più corretto utilizzare genere umano, un termine decisamente più inclusivo di entrambi i generi.

Suona male o non si vuole usare intenzionalmente?
«Si accomodi, l'architetta arriva subito»... sembra quasi la parodia di una professione, una frase che induce il sorriso o che appare come il titolo di una di quelle commediucce italiane degli anni '70, con protagonista un irriverente Pierino alla riscossa.
Invece architetto, assessore, avvocato, ad esempio, anche se suona male, hanno la loro declinazione femminile che andrebbe correttamente usata per riferirsi ad una donna. Ma è davvero solo la buffa assonanza a non far pronunciare queste parole? O è un'eredità storica che notoriamente escludeva le donne da certe professioni?
Anche l'utilizzo la parola donna associata ad alcune professioni (assessore donna, in luogo di assessora), pur di non declinarle al femminile, suona un po' come un voler sottolineare una stranezza, è una scappatoia grammaticamente non corretta.

Quando l'articolo fa la differenza e quando è discriminante
Alcune professioni non hanno declinazione di genere, ma si utilizzano indifferentemente per uomini e donne, come ad esempio presidente (ebbene sì), manager o giudice. È quindi lasciato all'articolo il compito di distinguere il genere e non esclusivamente all'eventuale aggettivo. Si dirà ad esempio, LA giudice è entrata in aula, e non IL giudice è entrata in aula.
In alcuni casi, invece, l'utilizzo dell'articolo appare una specifica sessista superflua. Se pensiamo bene, è l'errore cronico dei giornalisti che scrivono di politica o degli inviati agli eventi.
«LA Gerini ha presentato il suo libro», riferendosi ad una scrittrice. Mentre per parlare di uno scrittore basta il cognome, come ad esempio "Nell'ultimo libro di Traficante si toccano temi scottanti...". O più semplicemente, è un uso comune regionale della lingua, come quello di mettere l'articolo davanti ai nomi propri...

Questione di status? 
Altre volte, facciamo un uso scorretto e discriminatorio delle parole a seconda della rilevanza della professione. Pensiamo ad esempio al termine segretaria. In genere, se ci riferisce alla donna che siede alla scrivania dell'ufficio di fianco, che si occupa di portare il caffè ai colleghi e al capo ufficio durante le riunioni, archivia i file e registra gli appuntamenti rispondendo al telefono, allora è utilizzato senza remore segretaria. Ma se ci si riferisce ad un'organizzazione istituzionale, ad esempio, allora si parlerà di segretario, anche se si tratta di una donna, dato che in questo caso è una posizione di rilievo. Analoga sorte per il termine direttrice. Viene comunemente usato se ci si riferisce ad una scuola privata, ad esempio, ma è spesso rimpiazzato dal maschile direttore se si parla di una testata giornalistica. E che dire di il ministro Elsa Fornero, il magistrato Ilda Bocassini, l’avvocato Giulia Bongiorno, il rettore Stefania Giannini. Nessuno però direbbe mai il nuotatore Federica Pellegrini....

Altri sono i tentativi di rimarcare l'uso corretto delle parole, tutti apparentemente mossi da un palese senso di rivalsa e di emancipazione femminile.  Addirittura, nel 1987, è stato pubblicato un volume che suggeriva la creazione di nuove regole grammaticali e desinenze eque, scevre di ogni parvenza negativa: "Il sessismo nella lingua italiana", di Alma Sabatini, pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

È evidente che il tema non sia di natura puramente grammaticale ma che abbia profondi risvolti sociali. La riluttanza all'utilizzo corretto delle parole, che spesso si basa su ragioni di tipo linguistico, in realtà è celatamente di tipo culturale. Un uso più consapevole della lingua, soprattutto da parte di chi ha fatto dello scrivere il proprio mestiere, contribuisce a una più adeguata rappresentazione pubblica del ruolo della donna nella società. Del resto, compito principale di uno scrittore dovrebbe essere quanto meno il corretto utilizzo delle parole, non solo per l'aspetto comunicativo, ma soprattutto per il pesante significato semantico-culturale.
Le parole sono in grado di sovvertire gli stereotipi e dirigerci verso un mondo di pari opportunità. Parola di ingegnerA!



Stefania Bergo
Non ho mai avuto i piedi per terra e non sono mai stata cauta. Sono istintiva, impulsiva, passionale, testarda, sensibile. Scrivo libri, insegno, progetto ospedali e creo siti web. Mia figlia è tutto il mio mondo. Adoro viaggiare, ne ho bisogno. Potrei definirmi una zingara felice. Il mio secondo amore è l'Africa, quella che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui racconto nel mio libro.
Con la mia valigia gialla, 0111Edizioni.

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